giovedì 1 giugno 2017

Giornata d'autore: MELISSA PRATELLI



A diciotto anni, Raine Anderson ha già smesso di credere nell’amore. Nel suo passato si cela una terribile esperienza che l’ha segnata profondamente, rendendola incapace di fidarsi degli altri. 
Negli ultimi due anni, Raine si è chiusa in casa, si è chiusa in se stessa, ha chiuso il proprio cuore.
L’amore, però, non ha smesso di credere in lei e si manifesta sotto le spoglie di James Collins, diciannovenne bello e spigliato e fermamente intenzionato a fare breccia nella sua corazza. 
Ma Raineè davvero disposta a credere di nuovo o il dolore che ha vissuto sarà più forte dell’amore? 


«Io voglio te, voglio tutto di te. Il tuo sorriso, le tue occhiate quando mi rimproveri, la tua voce quando pronunci il mio nome; voglio le tue mani, la tua bocca, il profumo della tua pelle, il tuo pigiama con la mucca; voglio la tua luce e le tue ombre. Voglio tutto.»
Perfette. Non c’era altro modo di descrivere quelle parole. Il mio cuore fece un triplo salto mortale, salvo poi sprofondare di nuovo nella paura. Se James mi avesse fatto male, non sarei riuscita a risalire in superficie. Quello che provavo per lui era così viscerale da non essere nemmeno paragonabile a ciò che avevo sentito fino a quel momento per un ragazzo, Colin incluso. Era bellissimo e spaventoso. Il mio cuore era ormai libero dai vincoli che mi ero imposta, ma forse non era troppo tardi, forse potevo ancora tirarmi indietro, tutelare me stessa…
Ma perché avrei dovuto? Come si fa a smettere di vivere per la paura di perdere tutto? Non è forse come morire?
«Penso di averlo sempre saputo», continuò James sorridendo, «fin da quella prima sera in discoteca, sapevo che mi avresti fatto perdere la testa.»
Mi guardò, le mani intrecciate alle mie, la bocca sollevata a formare un sorriso da capogiro, però io ero bloccata.
«Ho paura», confessai.
James si fece serio e appoggiò la fronte alla mia.
«Lo capisco. Quello che ti è capitato è terribile, lo so. Ma io non sono Colin, penso di avertelo dimostrato. E continuerò a farlo, se me lo permetterai. Devi decidere se puoi darmi la tua fiducia o no, perché non posso combattere da solo contro i tuoi fantasmi, Raine.»



Non sapevo più cosa fare, stavo uscendo di senno.
Il cuore rimbombava in petto così forte da farmi male, forse mi avrebbe distrutto le costole già incrinate. La paura e l’angoscia mi avevano intorpidito, non sentivo più nulla se non le mie grida. Le mani mi stavano quasi sanguinando per quanti colpi avevo inferto a quella dannata porta che non accennava a muoversi dai cardini.
Raine era chiusa lì da più di dieci minuti e non sapevo cosa stesse facendo o se stesse bene. Avevo il terrore che si facesse del male.
“La conosci anche tu così bene?” Era la frase che accompagnava l’allegato con il filmino. Avevo visto Raine, nuda, che veniva toccata, violata da quelle teste di cazzo. Li avrei uccisi tutti e avrei staccato la testa di Colin dal suo collo con le mie stesse mani.
Mi feriva il fatto che Raine fosse scappata da me. Volevo che corresse tra le mie braccia, che si lasciasse confortare, che si fidasse abbastanza da permettermi di prendermi cura di lei. C’erano ancora tante ombre nel suo cuore, però.
Mi accasciai contro il muro, mettendomi le mani nei capelli, esausto. Non sapevo cosa fare. Non ero in grado di aiutarla, dannazione!
Cazzo, calmati! Non puoi dare di matto anche tu, altrimenti è la fine!
Un impeto di rabbia e frustrazione mi percorse il corpo e picchiai con violenza un pugno contro il muro. Il dolore mi fece rinsavire.
Ero sicuro che la mia Luna stesse per farsi del male, se non l’aveva ancora fatto, e non potevo permetterlo. Dio, non riuscivo nemmeno a pensarci.
Appoggiai la mano contro la porta e chiusi gli occhi.
«Raine, ti prego. Non farlo… non farti male», supplicai. Non sapevo nemmeno se fosse in grado di sentirmi, ma sperai che quelle parole raggiungessero il suo cuore.




«Devi capire una cosa, James Collins», disse scandendo bene il mio nome, «Raine Anderson non è quello che sembra. Fa la santarellina, ma in fondo, neanche poi tanto in fondo, è una troia.»
’Fanculo alla razionalità, ’fanculo alle promesse.
Mi avventai su Colin con un impeto tale da precipitare entrambi contro la parete e gli assestai un cazzotto in faccia, così forte che sentii il suo naso spaccarsi sotto le mie nocche e il suo sangue caldo e appiccicoso bagnarmi la pelle.
«Sei un coglione…», biascicò mentre il suo viso si tingeva di rosso.
«Devi stare zitto, pezzo di merda!», gridai sbattendolo contro il muro. La sua testa produsse un rumore sinistro quando cozzò contro il cemento.
«Avete abusato di lei mentre era drogata, siete dei miserabili…»
Colin scoppiò a ridere, sputacchiando sangue. «Così è questo che ti ha raccontato?»
Ero pronto a sferrargli un nuovo pugno, ma mi bloccai.
«Che cazzo vorresti dire?»
Quel mio momentaneo smarrimento mi costò caro. Colin mi diede una ginocchiata nello stomaco che mi mozzò il respiro. Barcollai indietro, piegato in due; il dolore era così intenso che credevo avrei vomitato le viscere. Approfittando di quell’attimo di debolezza, Colin rincarò la dose, colpendomi in faccia con un pugno e poi un altro, finché non finii contro il muro opposto.
«Sappi che a quella stronza è piaciuto da morire quando ce la siamo scopata in tre! Avresti dovuto sentire i versi che faceva!»
Lo fissai per un istante che sembrò infinito. Sentivo l’occhio pulsare e il sangue scivolarmi sul viso, impregnandomi con il suo odore metallico. Ma nulla di tutto ciò era importante. Volevo solo far tacere quel pezzo di merda.
Mi scagliai di nuovo contro di lui e lo colpii all’addome con una gomitata, lo buttai a terra e gli salii sopra, cominciando a picchiare con tutta la forza che avevo, con tutta la rabbia che provavo.


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